20/03/2021
→ Sabrina Annaloro (Palermo, 1989)
→ Giuseppe Borgia (Palermo, 1978)
→ Noemi Priolo (Palermo, 1990)
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con un testo di Giulia Campanella
Exhibition design: Giulia D’Audino
Social Media: Silvia Moavero
in collaborazione con Roberta Rizzuto
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Opere / Artworks
L’uomo è un «animale politico», sosteneva il caro e saggio Aristotele. La pressante necessità di aggregarsi con l’altro sembra porsi quale epicentro propulsivo che legittima i rapporti sociali che l’individuo sente il bisogno di tessere con i propri consimili. Ma perché definirlo “animale” se l’uomo ha delle peculiarità distintive? Forse perché l’uomo non è poi tanto diverso dall’animale. Anzi, non lo è affatto. In un dondolio costante tra la ratio e l’istinto, l’individuo riconosce in sé un urgente ritorno all’ancestrale, al primitivo atteggiamento animale svincolato da catene sociali capaci di devitalizzare qualsiasi spinta alla sovversione morale in nome della libertà. Un atteggiamento esistenzialista che rifunzionalizza la realtà animale facendola emergere come punto di appropriazione aspirata con sospiro.
Si può dedurre che nell’arte, dimensione in potenza capace di edificare ogni sfaccettatura dello scibile, una conformazione animale-antropomorfa non solo è elusa, ma decisamente manifestata. I tre artisti esposti condividono un filo rosso liricamente potente che li avvolge, per certi versi li distanzia pur connettendoli nelle rispettive direzioni intraprese con evidente decisione. Sabrina Annaloro (Palermo, 1989) confeziona in modo squisito delle micro-realtà che trovano ricordo nelle modulazioni formali del gotico cortese. L’affollamento dei personaggi, la campitura cromatica e una leggera ma percettibile aria grottesca partecipano a determinare una narrazione bisbigliata sebbene illuminante. Ogni componente della scena dialoga in un’interrotta concatenazione trovando in ciascuno una sussistenza reciproca. Nulla è lasciato al caso. Il dettaglio sembra primeggiare come elemento coordinatore che disegna quelle che sembrano scene di un atipico quotidiano infestate da animali antropomorfi, o donne animali, che velano una multidimensionalità concettuale che abbraccia tradizione, folklore e mitologia. Tanti piccoli tasselli che cooperano a ricreare momenti di sollazzo, di libertà cercata e raggiunta che insabbiano storie nient’affatto scontate. Ma la natura animale connessa all’evasione, o al poter fare senza condizionamenti, trova luce in altrettanti contenuti che parlano molto della società o, ancor meglio, della contemporaneità che vuole, cerca e interpreta. Noemi Priolo (Palermo, 1990) focalizza nei propri lavori dei messaggi che la stessa, consapevole, si racconta e che sono gli stessi incubati nella mente della gente. Un mantra si insinua ossessivamente nella sua mente: “I do. I am not / Io faccio. Io non sono”, una preghiera che emerge da un fondale pitonato e che se ripetuta chiarisce forse quei dubbi esistenziali che contaminano il pensiero umano giornalmente. Un ripensamento continuo che richiama la contraddizione ricordata dalla pelle del rettile che sostiene le parole quasi fossero sospese. Più che un richiamo rassicurante, le varie opere stimolano una repulsione accattivante tale da indurre un avvicinamento incerto ma comunque compiuto; una discordanza percettiva che respinge ma allo stesso tempo invita. Una specie di scolopendra zampetta tra i muri cercando direzioni, possibilità o plausibili arrivi. Un disgusto solo apparente, un’abitudine visiva manifestata in una smorfia che squilibra il viso e spinge il fruitore a cercare altro. Ma l’apparenza inganna. Dei corpi compenetrati, amalgamati in una successione che identifica la struttura anatomica del millepiedi, svelano l’inganno e reclamano un approfondimento. Ciò che disgusta sono in realtà momenti di unione carnale e spirituale tipici di chi si ama principalmente con la mente che col corpo. Ma il legame non sempre è goduto se la distanza si frappone, specie se a solidificarla è una pandemia che separa anche gli inseparabili, costretti a guardarsi da lontano in attesa di un bramato ritorno. Nell’introspezione giace tuttavia un punto di salvezza. Giuseppe Borgia (Palermo, 1978) ricrea paesaggi da comprovare percettivamente eludendo da qualsiasi riconoscimento figurativo appartenente al quotidiano. Un’atmosfera interiore che, se materializzata, ingloba l’osservatore inducendolo a un percorso fatto di stratificazioni cromatiche di volta in volta attraversate nell’incertezza di giungere a un definitivo punto di arrivo. Un volatile, inoltre, si intercetta nel viaggio esperienziale imponendosi quale totem da invocare come portafortuna che orienta il “viaggiatore” verso una tappa a lui ignota. L’opulenza pittorica rende la tela mobile e il cammino assolutamente esplorativo dove anche il più piccolo dettaglio si capovolge in componente fondamentale, forse la più importante, che arricchisce e determina la struttura momentanea di ogni strato pittorico.
Una stanza, tre artisti, tre pareti e uno storytelling che procede tenacemente, tra una realtà e un’altra, come un animale in avanscoperta.
Giulia Campanella
Giulia Campanella nasce a Palermo nel 1993.
Avendo conseguito una laurea triennale in Scienze della Comunicazione per le Culture e le Arti, presso l’Università degli Studi di Palermo, decide di consolidare la propria formazione presso la stessa con una laurea magistrale in Storia dell’Arte.
Aderisce al progetto YoungVolcano scrivendo il testo di accompagnamento alla mostra YoVo#2