Gianluca Monaco
Puoi parlarmi un po’ di te?
Sono nato a Catania nel 1992. Sin da bambino ho avuto la passione per il disegno e per la matematica. Durante l’adolescenza ho anche studiato il pianoforte, conseguendo il diploma nel 2011. Nel 2010 mi sono trasferito a Urbino, per studiare Progettazione Grafica e Comunicazione Visiva. Da lì in poi non ho smesso di spostarmi: Palermo, Bruxelles, Amsterdam, Linz, Sydney, Milano. Negli ultimi 8 anni ho imparato da autodidatta la programmazione per il web, e continuo ancora oggi a farlo.
Come e quando ti sei avvicinato/a all’arte?
In un certo senso il mondo dell’arte mi è sempre stato intorno, tra disegno e pianoforte, ma l’interesse consapevole nei confronti dell’arte si è manifestato durante gli studi universitari, con la scoperta dell’arte concettuale.
Quali sono gli artisti cui guardi? E perchè?
I primi artisti che mi hanno colpito sono stati Marcel Duchamp e Maurizio Cattelan, per il loro approccio provocatorio, ironico e autoreferenziale. Credo di avere molto in comune con loro, non tanto nel tipo di arte quanto nel modo di vedere il mondo. Essendo un designer, mi interessa molto anche l’arte astratta e geometrica di autori come Ellisworth Kelly o di François Morellet, che trovo molto affine per l’approccio matematico. Poi ci sono i cosiddetti net-artists, uno fra tutti Raphael Rozendaal, che utilizzano il web come medium artistico e che hanno una pratica più simile alla mia
Puoi parlarmi della tua ricerca artistica?
La ricerca è un processo quotidiano e continuo. Tutto quello che ho intorno di materiale o immateriale può essere fonte di ispirazione. Oggi internet e i social media sono capaci di portarci ovunque, ma quando posso cerco di visitare musei e gallerie, oppure esplorare la città osservando ogni cosa: architetture, insegne, elementi naturali, luci. Il linguaggio stesso è cruciale nell’elaborazione di nuove idee, per cui presto sempre attenzione a qualsiasi conversazione tra amici o sconosciuti sulla metro, pubblicità in tv, testi di canzoni. Persino il mio Twitter è un archivio in cui raccolgo giochi di parole estemporanei.
Qual è il materiale preferito? E perchè?
Se si possono definire tali, i miei materiali preferiti sono il codice e l’Internet. Il codice non è altro che linguaggio: ognuno lo usa a modo proprio, secondo la propria logica. Quello che faccio segue spesso delle regole ben precise. Anche quando non uso la programmazione, c’è sempre un algoritmo dietro. L’Internet è affascinante perché è uno spazio diverso dallo spazio fisico. Il concetto di presenza e distanza sono completamente diversi, credo che ci sia ancora molto da fare e da investigare in merito.
Quanto è importante il processo?
Per me il processo è tutto. Dato che i miei lavori sono spesso seriali o prevedono una componente temporale, a volte non so precisamente quale sarà il risultato finale, a volte non c’è nemmeno una vera e propria fine.
A cosa stai lavorando adesso?
Ultimamente sto sperimentando con la manipolazione di immagini bidimensionali. Creo degli algoritmi che rielaborano delle immagini esistenti in maniera iterativa. Non ho ancora un piano di cosa ne farò.
Puoi parlarmi del tuo studio?
Essendo un designer e sviluppatore tendo ad essere molto minimale. Ho una scrivania regolabile, per lavorare da seduto o in piedi, diversi taccuini dove appunto nuove idee, e poi il mio laptop con schermo tastiera e mouse. Tutto qui.
Cosa ti eccita di più del tuo fare arte?
Vivo l’arte un po’ come esplorazione e un po’ come un enigma. Uno dei miei obiettivi è proprio quello di trasmettere agli altri lo stesso stupore e curiosità che provo io nella scoperta o realizzazione di qualcosa. Mi piace quando l’arte resta viva, quando riesce a creare un dialogo continuo con chi la fruisce, generare domande ed aprire scenari e possibilità.
Come trascorri il tuo tempo quando non lavori?
Scrivo poesie o musica, che considero parte integrante della mia attività artistica, sebbene lo faccia in maniera discontinua. Cerco di prendermi cura del mio corpo camminando o facendo attività fisica. A volte anche l’esercizio fisico è parte del processo creativo. Sono un po’ ossessionato dall’organizzazione, a volte spendo giornate intere a riguardare e aggiornare archivi personali.
Cosa ti appassiona?
Mi piace molto il tennis, che pratico sin da bambino e seguo abbastanza. Quando ne ho la possibilità viaggio per conoscere posti e culture nuove.
Qual’è il più grande desiderio?
L’unica cosa che mi auguro per il futuro è di mantenere una certa curiosità ed elasticità nei confronti del mondo e di continuare a stupirmi e divertirmi in quello che faccio.
Puoi dirmi il libro, il disco, il film e il piatto preferito?
Leggo pochissimo, prevalentemente saggistica legata all’arte o al design. Una lettura recente è Goodbye World, Looking at Art in the Digital Age di Omar Kholeif. Stessa cosa vale per film e serie TV, di recente ho piacevolmente scoperto Twin Peaks (con un certo ritardo). Ascolto molta musica, specialmente quando lavoro, spaziando da Erik Satie a Fabri Fibra passando per i Radiohead. In questo momento un disco che ascolto molto è Enter Sandwich dei Pop X, gruppo che fa musica demenziale italiana con testi assurdi. Mangio di tutto, ma ho un debole per la zuppa dì lenticchie.