Gabriele Massaro
Puoi parlarmi un po’ di te?
Gabriele Massaro, nato a Palermo il 27 Luglio 1989.
Dopo essermi diplomato al liceo classico ho frequentato per un paio d’anni la facoltà di architettura; successivamente ho conseguito il diploma di primo e secondo grado in pittura presso l’accademia di belle arti di Palermo.
Lavorando nel laboratorio di un artigiano locale ho appreso la decorazione pittorica della ceramica, che continuo a praticare affiancandola al mio lavoro di pittore. Vivo e lavoro a Palermo.
Come e quando ti sei avvicinato/a all’arte?
Mio nonno era pittore, grazie a lui fin da bambino mi sono appassionato e dedicato al disegno e alla pittura.
Dopo la sua morte, durante la mia adolescenza, mi sono allontanato dalla pratica artistica, fino a quando ho deciso di iscrivermi in accademia.
Quali sono gli artisti cui guardi? E perchè?
I miei primi “maestri” sono stati Ad Reinhardt e Frank Stella.
Sono rimasto affascinato dai rispettivi “Black paintings” per la sofisticatezza, la profondità e la complessità di un fare pittura semplice e rigoroso.
In seguito ho scoperto Robert Ryman e i pittori analitici italiani, in particolare Olivieri, Cotani e Pozzi.
Nonostante possa sembrare paradossale nominare Pozzi insieme a pittori che hanno inteso il dipingere in maniera radicale ed assoluta, come Reinhardt o Ryman, è proprio la sua libertà a renderlo un artista estremamente coerente e radicale nel suo non esserlo, ed è questo intendere e fare arte liberi da qualsiasi limite stilistico che stimo del suo lavoro.
In generale studio, apprezzo e prendo spunto da tutta la pittura.
Un altro artista che stimo particolarmente, infatti, è Nicola Samorì: eccezionale come sia stato in grado di integrare una pittura informale con una barocca, indagando il limite tra rappresentazione e presentazione.
Puoi parlarmi della tua ricerca artistica?
L’argomento principale della mia ricerca artistica è la pittura in sé stessa: mezzo, forma e contenuto.
Stendere il colore sul supporto, stratificarlo, riflettere sulle qualità visive e tattili della pittura, sui processi e sui materiali, intendere il dipinto nel suo essere un oggetto oltre che un riquadro rappresentativo.
Sono queste le principali riflessioni che muovono la mia ricerca.
A questa speculazione prettamente razionale sulla pittura ho sempre affiancato un pensiero intuitivo e simbolico.
Stimoli provenienti dalla poesia, dalla filosofia, dalla musica o direttamente dalla realtà di tutti i giorni penetrano nella costruzione dell’opera e la consolidano e definiscono, congiuntamente ad un programma analitico.
Gradualmente, gli ingranaggi si incastrano fino a quando l’opera conclusa non è più semplicemente l’espressione di un ragionamento schematico ma il simulacro di un significato più profondo e velato.
Qual è il materiale preferito? E perchè?
Il ferro ed il rame sono materiali che ho adoperato in diverse opere: quello che mi affascina è la loro intrinseca qualità pittorica, che altri materiali o supporti, come ad esempio la tela, non hanno.
Quest’ultimi infatti necessitano di essere dipinti, mentre ferro e rame lo “sono” già.
Quanto è importante il processo?
Il processo inteso come l’atto di dipingere è per me il punto più intenso della pittura.
È nell’atto di dipingere che il pittore si esprime veramente e soddisfa più profondamente la sua necessità.
Il risultato, il dipinto, è una sorta di appunto, una testimonianza del dipingere.
A cosa stai lavorando adesso?
Stratificazioni pittoriche, mettere e rimuovere strati di pittura fino ad ottenere superfici differenziate, che accostate abbiano il giusto equilibrio. O meglio, l’equilibrio giusto nel momento in cui li reputo finiti.
Dei quadri “jazz” direi, non programmati ma costruiti in maniera estemporanea ed intuitiva, seppur con delle regole. Sarebbe bello se non avessero mai una fine e fossero in continuo mutamento.
In realtà, ho sempre diverse idee e progetti: elaborandoli, alcuni vengono scartati, altri approfonditi, arrivano ad una conclusione o generano nuove idee.
Mi stanco velocemente delle mie opere, il che è un bene in quanto mi permette di evolvere in modo continuo il lavoro, ma anche un male perché non arrivo mai ad essere pienamente soddisfatto.
Puoi parlarmi del tuo studio?
In questo momento condivido un ampio studio open-space con altre persone, il che da un lato offre la possibilità di confrontarmi con diverse tipologie di artisti, non soltanto pittori, ma dall’altro a volte causa la mancanza di quell’intimità e solitudine che la pittura richiede.
Cosa ti eccita di più del tuo fare arte?
Non penso di poter dire che ci sia qualcosa che mi ecciti nel mio fare arte: per me è più una necessità, qualcosa di cui non posso fare a meno. A volte mi appaga, altre mi deprime. Che senso avrebbe se non dipingessi?
Come trascorri il tuo tempo quando non lavori?
Suono il basso elettrico, la chitarra a volte. Gioco a calcetto con gli amici.
Cosa ti appassiona?
La pittura ovviamente, la musica – principalmente il genere metal -, l’arte in generale. I giochi, in particolare gli scacchi.
Qual’è il più grande desiderio?
Non lo so. Dipingere sicuramente, forse anche trovare una serenità nel farlo.
Puoi dirmi il libro, il disco, il film e il piatto preferito?
Ci sono tanti libri e tantissimi dischi che mi piacciono, ed è difficile sceglierne dei preferiti.
“Così parlò Zarathustra” di Nietzsche e “Osservazioni sui colori” di Wittgenstein sono due testi che mi hanno stimolato molto nella ricerca pittorica.
“St Anger” dei Metallica è il primo CD che ho ascoltato di questa band americana e, al contrario della critica, lo reputo uno dei più belli in quanto, seppur in rottura rispetto allo stile dei precedenti, è estremamente sincero e potente.
Per il film la scelta mi è più facile, forse perché il cinema è la forma d’arte che racchiude tutte le altre: pari merito per “Il settimo sigillo” di Bergman e “2001: Odissea nello spazio” di Kubrick.
Adoro mangiare gamberi rossi e gamberoni.