Francesco De Grandi - Come Creatura

FRANCESCO DE GRANDI
COME CREATURA

Inaugurazione:  sabato 15 settembre 2018, ore 18

Fino al 4 novembre 2018

Dal martedì al sabato, dalle 16 alle 20

Comunicato

RizzutoGallery è lieta di presentare Come Creatura, mostra personale di Francesco De Grandi (Palermo, 1968). La mostra – evento collaterale di Manifesta 12, inserita nel programma ufficiale di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018, con il patrocinio del Comune di Palermo – riassume lo studio e il ragionamento sulle Idee Sacre che in questi anni l’artista sta portando avanti.

La mostra sarà inaugurata sabato 15 settembre 2018 alle ore 18.00, e resterà visitabile fino al 4 novembre, dal martedì al sabato, dalle 16.00 alle 20.00.

Come Creatura prende il titolo e l’avvio da un grande quadro che sonda l’aspetto primordiale della natura, familiare ma allo stesso tempo terribile, come deve essere stata agli occhi dell’uomo alle origini del tempo. Si parte dalla narrazione scritta nei libri Sacri e delle leggende tramandate dai popoli, che parlano di come il mondo è stato creato, dei primi uomini che lo abitarono e di una Pianta Sacra, che contiene la conoscenza del bene e del male, il segreto dell’immortalità e della dannazione. 

L’opera di De Grandi cerca di fissare il momento in cui tutto ebbe inizio, quando due uomini infreddoliti e minuscoli alzarono gli occhi al cospetto della numinosa maestà, segnando quel punto dell’evoluzione in cui nell’uomo nasce il sentimento Creaturale, la consapevolezza di non essere altro che “terra e cenere”, e nello sgomento di quella scoperta inizia a manifestarsi in lui l’idea di Dio.

De Grandi affronta qui un punto cruciale della sua attuale ricerca artistica, immaginando l’origine della più profonda e tormentata condizione dell’uomo: il rapporto con Dio e la conseguente nascita delle Religioni. Una riflessione su quel sentimento Creaturale che ci accomuna e ci ricorda come tutti noi siamo uguali di fronte al grande terrore, creature tremanti che tentano disperatamente di dare una risposta alla rivelazione di una dimensione trascendente alla nostra esistenza. Una bruciante questione che da allora fino ai giorni nostri continua a sedurre, a consolare, a produrre bellezza, amore e uguaglianza tra gli uomini, o a generare l’odio dell’intransigenza, della persecuzione e della potenza totalitaria.

La mostra si dipana come in un racconto; tra tele di grandi dimensioni ( tra le quali “Il Trittico Delle Storie Di Gesù” realizzato tra il 2015 e il 2018), pitture su carta, appunti visivi e disegni site-specific tracciati sui muri ad indicare il cammino, De Grandi cerca utopisticamente di riscrivere gli archetipi della pittura nella sua forma più viscerale. Il lavoro dell’artista restituisce allo spettatore una lenta assimilazione di temi, forme e tecniche, linguaggi stratificati nella memoria visiva e nell’esperienza dell’epifania pittorica, cercando i momenti cruciali della visione quando l’opera, presente ed inequivocabile, si manifesta.

A corredo della mostra, una “pubblicazione d’artista”, un libro di 48 pagine serigrafate e rilegate a mano in cento copie firmate e numerate, realizzato in collaborazione con Tomo Studio.

Francesco De Grandi è nato a Palermo nel 1968, dopo gli studi presso l’Accademia di Belle Arti della sua città, nel 1994 si trasferisce a Milano, dove vi resterà fino al 2008. Dal 2009 al 2012 lavora per brevi periodi a Shanghai ma poi decide di tornare definitivamente a Palermo, dove trova un luogo più adatto e protetto per continuare la sua ricerca.

De Grandi ha un rapporto diretto con la pittura, quasi un corpo a corpo, e la sua ricerca pittorica si è evoluta negli anni spogliandosi sempre di più dalle contaminazioni dell’immagine contemporanea, per ritrovare con se stesso una forma di purezza e onestà. Interessato alla matrice ontologica della Pittura come percorso di conoscenza, trova nei motivi archetipici della sua storia una via per l’elevazione spirituale in una forma del dipingere quasi meditativa. Nei suoi lavori sono fondamentali l’esperienza e la visione dell’opera nella sua forma originale, verso una concezione immediatista dell’esperienza pittorica.

Dal 2016 è docente di pittura alla Accademia delle Belle Arti di Palermo.

FRANCESCO DE GRANDI – COME CREATURA

Inaugurazione: sabato 15 settembre 2018, ore 18.00

Dal 18 settembre al 4 novembre, dal martedì al sabato 16.00-20.00

Immagini installazione

Testo di Francesco De Grandi

Come Creatura

Rudolf Otto nel 1917 scrive un testo fondamentale per la filosofia della religione, il titolo è: “Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione col razionale”. Nella sua analisi di quel movimento irrazionale che preannuncia l’irrompere del Numinoso e la rivelazione dell’alterità con la conseguente genesi del Sacro, individua un punto nell’evoluzione dell’uomo che egli definisce la nascita del sentimento Creaturale, cioè quel momento in cui nella mente dell’uomo si forma la consapevolezza di non essere altro che “terra e cenere”, cioè di non avere nessuna possibilità di determinarsi volontariamente in vita e morte. Nello sgomento e nella terribilità di questa consapevolezza nasce l’idea di essere entità create e agite da una volontà superiore: l’idea di Dio si manifesta nell’uomo.

Ma cosa è veramente successo in quel momento?

Nella storia dell’uomo esiste una narrazione che parla delle origini, di come il mondo è stato creato,  dei primi uomini che lo abitarono e parla di una Pianta Sacra, di un albero interdetto, che contiene la conoscenza del bene e del male. Questa informazione  si tramanda dalla notte dei tempi, come tradizione orale, scritta nei libri Sacri, emerge nelle leggende dei popoli che hanno abitato la terra attorno alla penisola Mediorientale e la sua eco si estende fino al subcontinente Indiano, per riemergere in forme simili persino nei paesi scandinavi, nelle Americhe precolombiane, caratterizzando il rapporto tra l’uomo e la sapienza contenuta nella natura, individuando in una Pianta, Sacra, segreta e potentissima, il segreto dell’immortalità e della dannazione.

Cosa hanno mangiato Adamo ed Eva? Che reali conseguenze ha portato ai primi esseri umani sulla terra l’assunzione di quella pianta segreta? Hanno forse espanso la loro coscienza ad un punto tale da poter pensare l’esistenza di Dio?

Questo è per me un punto cruciale che accomuna le principali religioni della terra. Forse come molti Etnobotanici pensano, in realtà quella prima donna raccoglitrice ha incontrato una delle tante Piante Psicoattive che crescono spontaneamente sulla terra, un Enteogeno – neologismo formato da ἔνθεος (entheos) e γενέσθαι (genesthai), che letteralmente significa “che ha Dio al suo interno”, il termine è stato coniato nel 1979 da un gruppo di etnobotanici e studiosi di mitologia e religioni (Carl AP Ruck, Jeremy Bigwood, Danny Staples, Richard Evans Schultes, Jonathan Ott e R. Gordon Wasson) – una pianta cioè capace di generare l’idea di Dio. Questo pensiero mi agita profondamente, immaginare quel preciso momento nell’evoluzione dell’uomo dove l’essere primordiale accede alla comprensione di quel “totalmente altro” che è la chiave e l’origine della più profonda, terrificante e  tormentata condizione che l’uomo abbia mai vissuto: il rapporto con Dio e la conseguente nascita delle Religioni. Ciò che porta conforto a quella bruciante questione che da allora fino ai giorni nostri continua a domandare, a sedurre, a consolare, a portarci verso i territori dell’estasi o verso la pazzia, a produrre bellezza, amore e uguaglianza tra gli uomini o a generare l’odio dell’intransigenza, della persecuzione e della potenza totalitaria.

Il sentimento Creaturale ci accomuna e ci ricorda come tutti noi siamo uguali di fronte al grande terrore, come creature tremanti che tentano disperatamente di dare una risposta alla rivelazione di una dimensione trascendente alla nostra esistenza, di una presenza totalmente altra a noi stessi.

“Come Creatura” è un grande quadro (230 x 340 cm) che cerca di sondare l’aspetto primordiale della visione della natura. Un Paradiso Terrestre non identificato che appare tagliente come una visione lisergica, simbolico come un Paesaggio di Böcklin. La dimensione ellittica della pittura, lo slittamento percettivo, la circolarità della memoria e del  tempo caratterizzano questo dipinto, vediamo una natura familiare ma allo stesso tempo irriconoscibile, spaesante, numinosa, terribile e maestosa come deve essere stata la natura agli occhi dell’uomo alle origini del tempo. Sto cercando utopisticamente di riscrivere il momento in cui un Nutrimento Divino, una Pianta Sacra, ci ha rivelato la confortante consapevolezza che esiste una dimensione dove tutto è Uno, un luogo dove regna la pace e dove tutte le domande hanno una risposta. É un lavoro che cerca di fissare il momento in cui tutto ebbe inizio, in cui due uomini infreddoliti e minuscoli alzano gli occhi al cospetto della numinosa maestà, superando la terribile visione della natura,  donandosi incondizionatamente alla volontà superiore del Padre confortati dal soffio del Divino Amore.

Da questo inizio, la mostra si dipana come in un racconto.

Visioni notturne della vita segreta di Eva intenta a incontrare il mistero nascosto tra le piante, quello che la porterà ad essere la chiave di quella forza tutta umana che chiamiamo Sete di Conoscenza; come un Eremita Eretico compio il cammino e lascio tavoli stracolmi di carte e appunti visivi, una raccolta di circa 100 disegni che riguardano tutta la fase di studio e ragionamento, che conducono verso la grande opera composta da “Il Trittico Delle Storie Di Gesù”, tre tele intensissime frutto del lavoro di questi ultimi anni (2015-2018): “L’entrata di Cristo a Palermo”, “La Flagellazione” e “Compianto sul Cristo morto”, tre momenti cruciali di una delle storie più potenti mai scritte sulla faccia della terra.

In quest’opera, Bruegel il vecchio, Ensor, Guttuso dei funerali di Togliatti, Pasolini di Salò, l’ottocento Napoletano dei Pitocchi laceri, pidocchiosi e affamati, avanzano in una marea inondante ai piedi del Sacro Monte Pellegrino; e poi malfattori, vagabondi, imbonitori, scenari da fumetto d’autore anni Ottanta come Bilal degli Umanoidi Associati, esiti visionari della migliore narrativa distopica da Dick fino a Houellebecq e altre variazioni stilistiche navigano in totale deriva; una corte dei miracoli, una rivolta civile, la cacciata dei demoni dal ventre putrefatto della città, nei vicoli di Ballarò dove Lanzichenecchi deformati come demoni frustano un Cristo carponi come un cane randagio; e infine a Piazza Marina, in una visione siderale, uno sparuto corteo funebre accompagna il corpo velato dell’eroe morto, in un lentissimo piano sequenza da classico del western.

Tutto è tenuto insieme da una coerenza che è prima di tutto pittorica, e tra tele, carte e disegni cerco utopisticamente di riscrivere gli archetipi della pittura nella sua forma più viscerale, restituita in una lenta assimilazione di temi, forme e tecniche, linguaggi stratificati nella memoria visiva e nell’esperienza dell’epifania pittorica, cercando i momenti cruciali della visione quando l’opera, presente ed inequivocabile, si manifesta ai nostri occhi.

Francesco De Grandi

Opere

Testo di Helga Marsala

Francesco De Grandi, pittura e rivoluzione.

da un testo di Helga Marsala per Artribune

Fra studio della natura e sentimento del sacro, Francesco De Grandi (Palermo, 1968) è uno tra i maggiori pittori italiani, che ha scelto una via personalissima, coraggiosa per la sua ricerca artistica.

(…)

Al mistero degli enti e delle cose si rivolge Francesco De Grandi con una pittura nutrita di letture, viaggi, incontri quotidiani e minuti, esperienze radicali, meditazioni e smarrimenti, folgorazioni e disciplina affilata.

(…)

Dopo anni trascorsi a restituire la sontuosità del paesaggio, con un’abilità tecnica mai soffocata dal virtuosismo e sempre vivificata dallo slancio intellettuale, De Grandi si pone completamente oltre il perimetro del “genere” e fa della natura il luogo di Dio. L’orizzonte biologico, carnale e insieme matematicamente esatto della trascendenza. (…)

La pittura, per l’artista palermitano, è una macchina del tempo. In essa si compie una miracolosa fusione tra stili, memorie, epoche, esercizi del pensiero e del pennello. Fino ad annullarlo, il tempo. A confonderne le soglie e le scansioni in una pasta irriverente, irregolare

(…)

La pittura di De Grandi, indifferente a estetiche à la page e conformismi vari, giunge a una maturità piena, subito leggibile nella straordinaria qualità del colore, del segno, della rivisitazione iconografica. Una pittura che fa i conti ossessivamente con la tradizione, mentre una vibrazione contemporanea la attraversa, col gusto sottile del tradimento e della mescolanza.

Nel suo sfacciato rivolgersi all’indietro essa richiama quelle particolari epifanie della rottura, definitesi lungo la storia dell’arte tra il piano estetico e insieme politico. Perché è anche nello spazio di una narrazione apparentemente inattuale, distante dalla cronaca, dall’orizzonte del pop o del reportage, che l’arte a volte incide sul presente. Praticando spostamenti audaci. Qui, in questa dimensione esteticamente e politicamente attiva, i segni e le forme toccano gli immaginari, riscrivono gli ordini di grandezza, orientano daccapo i metodi, i perimetri, i riferimenti comuni.

La rivoluzione di De Grandi ha a che fare con l’umano. Che rimette al centro, che richiama con veemenza e con una lentezza desueta. La pittura, in questo caso, sovverte. Suggerisce nuovi sguardi e nutrimenti; coltiva la fame d’immagini pesanti, radicate, aurorali; e supera, in una postmodernità ormai sfinita, la pulsione della copia, il tramonto delle grandi narrazioni, la seduzione di un pensiero debole, l’imperativo della leggerezza e della trasparenza.

E tornano il racconto, la voce delle cose, il ventre della terra e la spinta verticale, il bisogno di un arché e la sostanza dei corpi o dei fantasmi. Una specie di romanticismo, che però, figlio del XXI secolo, ha conosciuto il disincanto, il crollo, la schizofrenia, l’ebbrezza del lieve e del molteplice, il polverizzarsi della storia. E che dunque torna al principio passando dalla fine: inevitabilmente segnato. Tornare all’umano e non averne timore. La pittura, ogni tanto, è un fatto di sopravvivenza.