logo-youngvolcano

Arjuna Foti

Ritratto Arjuna Foti

Puoi parlarmi un po’ di te?

Sono un fumettista e illustratore freelance. Nasco a Palermo nel 1996 e ho una formazione artistica prevalentemente da autodidatta. Il mio fumetto sperimentale The Bartender ha vinto la menzione speciale del Lucca project contest nell’edizione del 2021, nell’aprile 2022 ho pubblicato La lunga notte di Emma  per Splen Edizioni e oggi mi trovo coinvolto in svariati progetti editoriali rivolti al mercato della graphic novel.

Come e quando ti sei avvicinato/a all’arte?

Oggi sicuramente più che avvicinarmi direi che la inseguo ahah.

In passato invece, essendo figlio unico guardavo parecchi cartoni animati. Mia madre invece era una pittrice,  perciò disegnare in questi casi diventa il mezzo più piacevole e immediato di passare il tempo.

Se poi nel mentre ti convinci ( e ti convincono ) che te la cavi anche, diventa un’attività quotidiana che non ti togli più.

 

Più o meno per le stesse ragioni, ricevevo tanti libri e ricordo anche che verso i 10 anni mi hanno regalato Folle viaggio nella notte; era una specie di fiaba illustrata da Gustave Doré che ho ancora su uno scaffale.

La prima volta che sono entrato in una fumetteria, invece, ho comprato due vecchi spillati del ‘95 di Hellboy e lì è cominciato un altro capitolo della mia avventura coi fumetti.

Quali sono gli artisti cui guardi? E perchè?

Chiaramente ho dei miei evergreen, per esempio guardo molto Sergio Toppi, Mike Mignola e Ferenc Pinter per la loro iconicità, ma ce ne sono tantissimi altri come Dino Battaglia, Heinrich Kley o Gigi Cavenago, Alberto Mielgo e Ashley Wood tra i più recenti; probabilmente ho tralasciato qualche nome.

Fumettisticamente, credo di avere una forte impronta europea, ma ci sono volte che la ricerca dipende dal progetto che si ha per le mani in quel momento.

Per le tavole che ho scelto di esporre, ad esempio, mi sono trovato a studiare fotogrammi di vecchi corti animati della Disney, ma soprattutto altri titoli a fumetti realizzati su un formato orizzontale, come 300 ( Frank Miller ), le strisce di Alex Raymond per il suo Rip Kirby e poi Il Rapporto di Brodeck ( Manu Larcenet ).

Esiste tanto materiale che può diventare oggetto di osservazione. Come tutti i creativi, penso di ricevere contaminazioni da un po’ ovunque; alcune consapevoli e altre meno.

Puoi parlarmi della tua ricerca artistica?

Come disegnatore direi che alla base di tutto ho sviluppato una sintesi della figura molto grafica, in una chiave quasi totalizzante. 

Da qualche tempo mi sforzo di descrivere ambienti e personaggi tessendo delle trame coi segni, a volte riuscendo a essere più delicato e altre in maniera più scomposta; l’importante è cogliere l’atmosfera che c’è dietro il momento che ho scelto di raccontare. 

Come fumettista – e quindi come narratore – è inevitabile che la mia ricerca ruoti attorno al modo in cui ciascuna vignetta si lega all’altra all’interno di una composizione più ampia, che può essere una singola tavola come un intero albo a fumetti. 

Sulla regia c’è ancora da lavorare, per ora mi piace progettare sequenze che colpiscono senza la mediazione della parola; le tavole esposte sono un’estremizzazione di questo concetto.

Qual è il materiale preferito? E perchè?

Per anni ho disegnato a biro o pennini, ma da qualche anno lavoro quasi esclusivamente in digitale. 

Fare fumetti è un’attività che può articolarsi su vari passaggi, la mia tecnica invece è rimasta molto gestuale e richiede tempi non sempre compatibili col mercato editoriale di oggi; dunque lavorare in digitale mi ha permesso di farlo in meno tempo e senza rinunciare alla mia amata tecnica.

Anzi, dopo qualche anno di esperienza devo riconoscere che il digital painting mi ha dato anche qualcosa in più. Quando lo si comincia a vedere come un puzzle che si può comporre e scomporre per ottenere esiti sempre diversi, si vive la pratica del disegno in modi inaspettati.

Quanto è importante il processo?

Io penso che quando ci si appresta a raccontare qualcosa attraverso le immagini molto nasca da una lunga osservazione ( e documentazione ) preliminare. 

Disegnare, come l’attività onirica, è una specie di grossa operazione di smaltimento rifiuti della propria mente. Si tende a disegnare più spesso ciò che si conosce meglio, ciò che si è osservato di più, ciò su cui ci si fissa di più.

Ci sono giornate che esigono di disegnare per ore e ore, e poi ce ne sono altre in cui un’attenta osservazione aiuta ad arricchire un proprio bagaglio di immagini e suggestioni che ricorrono nella propria produzione.

E’ evidente che i ricordi non sono un’archiviazione digitale, la memoria è organica, può alterarsi e ha una sua importanza tenerla allenata. 

Forse tutto scaturisce da qui, da questa ruminazione del dato visivo, visto o immaginato attraverso una moltitudine di segni aggrovigliati.

A cosa stai lavorando adesso?

In questo momento mi trovo a lavoro su tre progetti editoriali in collaborazione con amici sceneggiatori, sparsi per l’Italia.

Uno di questi tre si basa su un mio soggetto, e in qualche modo nasce proprio dall’esperimento che ho portato avanti in queste tavole.

Puoi parlarmi del tuo studio?

Mi alterno tra casa, dove lavoro su un tavolo da disegno, e uno spazio di coworking che condivido con alcuni amici fumettisti ; ognuno con la propria postazione.

Cosa ti eccita di più del tuo fare arte?

Fare fumetti, per quanto ne esistano di impegnati o ricercati, rimane un mestiere fortemente legato a una dimensione di artigianato. 

Chi fa fumetti non sarà mai un regista dietro la cinepresa, ma qualcuno all’interno di un processo a volte lento o ripetitivo, che i suoi “ attori ” deve crearli da zero sulla tavola, e farli agire, interagire, muovere nello spazio.

All’interno di questa pratica quasi amanuense, ci sono quelle volte in cui capita di sentirsi coinvolti dalla storia che si sta raccontando.

Come trascorri il tuo tempo quando non lavori?

Se tralasciamo la vita sociale,  di solito nei periodi in cui disegno di meno significa che sto osservando di più; oppure leggo, studio, raccolgo materiale; mi diletto col collezionismo, l’entomologia e ascolto il podcast de La Zanzara.

Ho una grande passione per la letteratura di fantascienza, le distopie e le weird tales, anche se il mio interesse per la narrativa è trasversale .

Mi piace sviluppare idee con la partnership di sceneggiatori professionisti, ma un giorno vorrei imparare a scrivere una storia anche da solo, per esempio.

Qual’è il più grande desiderio?

Mi ritengo relativamente fortunato, perché ho un mercato di riferimento e intendo continuare a realizzare fumetti, graphic novel o artbook esattamente come quelli che ho sempre collezionato. 

Sogno di ritagliarmi uno spazio dal quale poter mandare avanti un percorso con personaggi miei, storie mie, insomma progetti autoriali.

Coltivo questo mito del fumetto francese, ma fondamentalmente spero che quello che faccio mi spinga verso nuove persone, nuovi posti, nuove esperienze.

Puoi dirmi il libro, il disco, il film e il piatto preferito?

Sulla pizza alla diavola non ho dubbi, ma per le altre cose di preferito in assoluto non ho nulla, perciò citerò alcuni dei titoli che mi hanno colpito ultimamente. 

Il mondo sommerso di James Ballard; 2666 di Roberto Bolano. Push The Button dei Chemical Brothers e Apocalypse Now, rivisto poco tempo fa.

Arjuna Foti  Opere / Arworks 

logo-youngvolcano


Copyright l’Artista e RizzutoGallery