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Sabrina Annaloro

Sabrina Annaloro. -YoungVolcano

Puoi parlarmi un po’ di te?

Sono nata e cresciuta nella mia città Palermo. Adesso, da questa, mi sento disconnessa e vivo e lavoro in campagna, un’atmosfera favorevole in cui svilupparsi e un terreno fertile per la mia produzione artistica. Il silenzio, la luce radiante e la continua rigogliosa vegetazione costituiscono il perfetto ambiente con cui vivo in simbiosi e nel quale entro in rapporto come un eremita.

Il mio approccio alla pittura è sempre stato scostante e scandito da lunghe pause così come gli studi artistici. Ma tra un lavoro alienante e un altro che mi impegnava gran parte della giornata, mossa dall’istinto primordiale di un predatore affamato, andavo sempre in cerca della pittura come nutrimento, un nutrimento bulimico ed euforico che mi procacciavo attraverso le forme d’arte più appetibili. 

Come e quando ti sei avvicinata all’arte?

Ricordo di aver sempre disegnato. Disegnavo quando ero annoiata, disegnavo quando mi divertivo, disegnavo quando ero ferita, disegnavo invece di giocare; o meglio, il mio gioco preferito era disegnare.

Ricordo ancora il brivido della prima infanzia, quando trovai una matita e sentii il bisogno incessante di capirne la sua natura e di verificarne le sue infinite potenzialità. Capii subito che non avrei mai più smesso, e qualsiasi piega avrebbe preso la mia vita, io non avrei mai interrotto il mio modo di fantasticare.

Avevamo parecchi problemi familiari ed io ero una bambina irrequieta e malinconica. Il disegno era per me una questione di sopravvivenza: nel foglio bianco intravedevo un altro mondo sconosciuto. Trovavo rifugio nell’invisibile e nelle sue possibilità come un animale alla ricerca di un riparo durante la tempesta.

Amavo stare in campagna a modellare la terra, scrutare la perfetta geometria degli alveari, seguire i lunghi percorsi delle formiche e costruire piccoli villaggi per le rane. Se non giocavo con i cani, facevo lunghe passeggiate nella speranza di incontrare le capre a cui dar un bel mazzo di foglie d’eucalipto che accuratamente selezionavo per loro. 

Non c’è stato un episodio preciso che mi ha avvicinato all’arte. Tutto è stato molto naturale ed è stata lei a rivelarsi a me attraverso il brivido dei primi disegni, un incontro che mi ha segnato nelle viscere ed è diventato il mio mezzo per orientarmi nel mondo e per esprimermi in una sorta di idioma senza parole.

Quali sono gli artisti cui guardi? E perchè?

I punti di riferimento sono tantissimi, conservo un archivio di opere del passato e del presente che consulto regolarmente e che naturalmente influenzano i miei processi creativi.

Mi affascinano i graffiti preistorici del paleolitico, in particolare i grandi animali nelle pitture rupestri delle grotte di Lascaux, le statuette antropomorfe delle civiltà precolombiane, gli amuleti dei rituali apotropaici etruschi, la luminosità cromatica delle miniature Persiane, le narrazioni apocalittiche degli arazzi di Bayeux, la narrazione, il ritmo e la geometria nelle opere di Piero della Francesca, il paesaggio pacato e la drammaticità dei volti nei dipinti di Peter Bruguel, l’ampia vegetazione e le numerose creature fantastiche di Hieronymus Bosch, le grottesche e mostruose incisioni di Goya, i reduci storpi nelle città del dopoguerra e le deformità di Otto Dix, le figure ibride e oniriche di Leonora Carrington, le architetture quasi biologiche, i paesaggi alieni e le creature simboliche di Max Ernst, le progressive dissoluzioni nei ritratti di  Marlene Dumas, la drammaticità nei corpi allucinati di Francis Bacon, le luci soffuse e le atmosfere ovattate di Felix Vallonton, i panorami apocalittici e decadenti  e  gli esseri antropomorfi nei disegni di Alfred Kubin.

Il misticismo medievale di Merab Abramishvili, i pagliacci e gli scheletri carichi del senso del grottesco di James Ensor, l’infinito disfacimento e l’ossessiva tensione emotiva nelle opere di Louise Bourgeois. E molti altri ancora…

Puoi parlarmi della tua ricerca artistica?

Io ricerco tutto ciò che attinge agli impulsi primari e che ha a che fare con la bestialità e  il grottesco, che ritengo siano forze che infestano il corpo; una dimensione unicamente femminile, un sistema aperto alle contaminazioni e coinvolto in costanti rapporti metamorfici.

M’interessa la sacralità del corpo ma anche la disappartenenza dei miei soggetti al tempo e allo spazio. 

Adoro un senso di spiazzamento: a differenza di piante ed animali, i miei soggetti umani appaiono in estasi, storditi, in preda all’allucinazione dello spazio pittorico. Le piante si radicano, gli animali abitano, le donne mutualmente interagiscono con il fantastico e lo riformulano attraverso i loro corpi disincarnati, le posture erotiche e i loro costumi eccentrici che producono nuove energie ed ibridi. Provo con le mie visioni a dare vita a relazioni inedite che rimettono in gioco le parti ed il tutto.

Qual è il materiale preferito? E perchè?

Amo la carta per la sua estrema versatilità verso i più svariati processi creativi  che vanno dalla scrittura alle diverse tecniche pittoriche e alle sperimentazioni grafiche di stampa. Apprezzo la sua di resistenza e le diverse grammature e tipologie. Amo toccarla e sentirne il profumo. 

Quanto è importante il processo?

Concettualizzare verbalmente le mie opere non è facile, perché il mio processo creativo riguarda più immagini, sentimenti e intuizioni che parole. Tutto avviene per immagini, all’inizio in mente mi appare un’immagine sfocata a cui devo dare corpo. Non ho piani o pensieri prestabiliti in quanto la mia pittura non segue modelli preordinati. In linea di principio assecondo l’estemporaneità dell’intuizione e la contingenza del tratto alternando movimenti deliberati a quelli involontari. 

Credo che il disegno fornisca un terreno intricato che struttura il gioco di forme e figure ma che anche lascia spazio alla contingenza. Infatti, io mi propongo di esplorare lo spazio pittorico assecondando il suo stesso sviluppo. L’aggiunta di elementi avviene quando con il delinearsi dell’ambiente, mediante l’esperienza stessa del dipingere, le cose iniziano a succedere. Il processo creativo è come un viaggio senza meta, non si sa mai qual è il punto di arrivo, lo si dimentica, per poi ritrovarlo alla fine. In questo senso provo a combinare l’elemento rigidamente deliberato all’impalpabilità delle nuvole.

A cosa stai lavorando adesso?

Continuo a sperimentare, ho sperimentato la potenzialità della ceramica come supporto per i colori ad olio, un dualismo apparentemente contrastante che mette alla prova tenuta e durata del colore e lo consegna all’effimero. Sono rimasta affascinata dalle parole di una poetessa canadese, Anne Carson, che descrive l’emozione come una sostanza liquida che è contenuta e strabocca nei corpi tanto da dissolvere la loro tenuta di persone.

Ho trovato questa metafora estremamente potente che può essere una guida a quando si usa come medium un supporto poco permeabile come la ceramica. 

Infatti, l’uso di questa mi permette di mettere alla prova la potenza del segno, la sua resistenza all’interno di uno spazio non confortevole e che sempre riserva di suo il rischio della dissolvenza. 

In questo progetto sono attratta da questo gioco di resistenze, da questo instabile rapporto di forze che genera possibili punti di fusione. Questo perché credo che solo ciò che è effimero mantiene la sua integrità rivelando allo stesso tempo la sua forza profonda all’interno di una dualità che abbina la durata alla fine, la vita alla morte e l’ordine al caos. Verità che ci indica come un fantasma, la sottile continuità tra ciò che è stato e ciò che rimane, tra ciò che è effimero e ciò che è eterno.

Puoi parlarmi del tuo studio?

Lavoro in luoghi diversi a seconda del mio bisogno o stato d’animo. Quando opero su grandi formati e quindi ho bisogno di un ambiente ampio per muovermi al meglio, prediligo spazi aperti e luminosi come il giardino della campagna in cui vivo. Lavoro e scelgo i miei spazi in funzione della luce, alle prime luci del mattino preferisco stare all’aperto e lavorare sui grandi formati, invece appena appaiono le prime ombre della sera mi trasferisco dentro casa e mi concentro nei formati più piccoli, come ceramiche o piccole carte. 

Cosa ti eccita di più del tuo fare arte?

Mi eccita lo stato di incoscienza e la tensione emotiva che travolge la mia lucidità.

L’energia che pervade il mio corpo e lo attraversa in tutto il suo spettro emotivo. Paura, angoscia, estasi, rabbia, volontà, desiderio, amore pervadono le mie certezze e tutto viene messo in discussione, diviene caos, informe.

Sento una bramosità predatoria e necessaria, un nutrimento che viene soddisfatto attraverso l’atto della creazione. 

Come trascorri il tuo tempo quando non lavori?

Sono in dialogo costante con il mio lavoro, quando non dipingo osservo ed esploro con attenzione l’ambiente circostante con tutte le sue spettacolari rivelazioni. 

Vado in esplorazione, le lunghe passeggiate in montagna o al mare e il contatto con gli animali del posto a cui do’ da mangiare creano uno scambio energetico potentissimo.  Amo la compagnia degli amici, ma sono felice nella vita solitaria e silenziosa. 

Mi dedico all’orto e mi diletto nel fare talee di piante che ammiro particolarmente. 

La musica è un altro elemento essenziale tanto nella produzione artistica quanto nel quotidiano. 

Dopo aver dipinto quasi tutta la giornata, mi rilasso con un buon bicchiere di vino e guardando un film o leggendo un libro. 

Se invece sono in città amo perdermi tra gli infiniti e poliedrici oggetti in vendita nei vari mercati della città. Vado a trovare mia nonna con cui ho un legame fortissimo e magari le porto mazzi di tenerumi come fiori per deliziarci gli animi tra un racconto e una risata.

Cosa ti appassiona?

Il rapporto diretto e spontaneo tra uomo e natura, tra uomo e animale, tra corpo e corpo.

Mi piace nuotare ed esplorare la vita sommersa dei pesci, il suo ambiente roccioso e la fluttuante vegetazione.

Consulto spesso stampe di antiche tavole botaniche, mi interessa la loro origine e la loro storia. Oltre alla pittura, provo un grande interesse per la danza e la musica che esploro costantemente nelle loro diverse espressioni. Ma ciò che amo particolarmente è il mondo animale. 

Qual’è il più grande desiderio?

Desidero poter vivere con la mia arte e poter viaggiare alla scoperta di un altrove da esplorare

Puoi dirmi il libro, il disco, il film e il piatto preferito?

Puttane Assassine di Bolaño, Mullah Said di Muslimgauze, La montagna sacra di Jodorowsky, la pasta con i tenerumi. 

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